Enrico Mariotti: "La prima vittoria a Forte ci ha dato fiducia"

L'allenatore del Reus campione d'Europa ripercorre la straordinaria scalata della squadra catalana al tetto d'Europa: dalla vittoria in Versilia all'ecatombe di squadre portoghesi: Sporting, Porto, Benfica e Oliveirense si sono dovute arrendere al tecnico italiano.

Scritto da Paolo Virdi - Pubblicato il 23/05/2017 - 07:40 - Ultima modifica 30/05/2017 - 10:03

Enrico Mariotti, secondo allenatore italiano a vincere un'Eurolega.

Foto Marzia Cattini

Quanto può durare la gloria nell’hockey pista? Soprattutto, quanto è grande? Forse troppo poco se paragonata agli sforzi, ai sacrifici, a ciò che si deve affrontare per raggiungere il traguardo della vittoria.
Così il trionfo di Enrico Mariotti sulla panchina del Reus sembra già esser stato inserito nell’album dei ricordi. Un italiano che trionfa in Coppa dei Campioni alla guida di uno dei più gloriosi club catalani. Sembra un film, uno di quei capolavori sentimentali con un finale dolcissimo. È successo davvero e solo otto giorni fa.
A ricordarcelo è stato il Liceo La Coruna che, all’ingresso in pista dei rossoneri, ha tributato il dovuto homenaje, il classico “pasillo de honor”, usanza radicata in Spagna da oltre mezzo secolo.
Così il Reus di Enrico Mariotti è passato tra due ali di bastoni levati al cielo, omaggio concesso ai campioni d’Europa, in un palazzetto che non lascia indifferenti.
“Eh si – esordisce Enrico – Il Riazor è una pista storica nel mondo dell’hockey, ricca di fascino. Questa poi è stata una di quelle coincidenze che fanno sempre molto piacere: lì ho vinto un mondiale e quel pensiero non è ancora svanito”.
Quasi trent’anni dopo ecco un altro ingresso trionfante nel tempio galiziano, ottenuto grazie al suo Reus, capace di eliminare l’intero gotha lusitano, mietendo una vittima dietro l’altra: Sporting nel girone, Porto nei quarti, poi Benfica e Oliveirense. Una strage di alto livello. Roba da serial killer.

Enrico, ma esattamente, da dove inizia questo successo?
“A Forte dei Marmi, nel debutto del girone di Eurolega. Abbiamo vinto soffrendo, poi battuto lo Sporting: un successo che ci ha creato una condizione mentale che ci ha permesso di poter giocare contro chiunque. Venivamo da un inizio altalenante, dopo aver vinto la Copa de Catalunya battendo il Barcellona e la Supercoppa di Spagna con il Liceo. Era un momento complicato, nel quale stavamo lavorando per trovare un’identità”.
E in quel periodo di trabajo intenso il Reus perse la Ok Liga, con 2 punti in tre trasferte...
“Non è stata una buona partenza. Non eravamo ancora pronti, stavamo ancora cercando un’identità di squadra: così abbiamo pagato dazio con dei pareggi che ci sono costati il campionato”.
Aggiungiamo poi che il campionato spagnolo è un torneo alquanto selettivo.
“Sicuramente. Io credo che una squadra debba avere un gioco minimo garantito: un sistema essenziale per portare a casa il risultato anche quando non si è al 100%. Allora noi non lo avevamo. Poi abbiamo dovuto recuperare, ma non avevamo margine d’errore: in inverno il Barcellona perse a Vic, ci siamo rifatti sotto, ma ormai era troppo tardi. Un peccato, perché con il Barça abbiamo pareggiato due volte in campionato, perso in finale di Copa del Rey negli ultimi istanti e vinto in Copa di Catalunya”.

Enrico traccia un bilancio che parte da lontano, toccando le varie fasi della stagione. Ma questo Reus si trova incredibilmente a suo agio in campo europeo. Dopo aver vinto il girone, con un innocuo ko a Lisbona, i rossoneri affrontano il Porto: in terra lusitana finisce 7-7, al termine di una prestazione di un’intensità mentale elevatissima. Il ritorno è un capolavoro. Poi tutti parlano di Benfica, Barcellona e dell’Oliveirense di Bargallò. Invece sul traguardo spunta il purosangue più bello, quello che non ti aspetti.
Il capolavoro di Enrico lo si può ammirare anche nella gestione dei suoi uomini. D’altronde è un buon allenatore colui che sa adattare il modulo di una squadra, modellandolo attorno ai giocatori che possiede. Davanti ad un portiere monumentale, Platero incanta con le geometrie, Torra e Marin danno spettacolo in velocità. Ma anche il solido Casanovas e la panchina, con la crescita di Salvat e Rodriguez, diventano determinanti.
“Ho cercato di utilizzare al meglio il materiale umano a disposizione, sfruttando molto la velocità delle ripartenze e la qualità del passaggio, situazione che ci ha sempre permesso di mettere in difficoltà tutte le grandi squadre: il 60/70% dei gol arrivano da contropiedi o contrattacchi in velocità. Ovvero: una situazione di vantaggio si determina con un passaggio millimetrico perfetto e in questo Torra e Marin sono degli autentici chirurghi. Probabilmente oggi sono i due migliori giocatori al mondo, tecnicamente parlando, ovviamente”.
Se il lavoro tattico difesa/ripartenza è riuscito alla perfezione, all’autostima diamo voto 10.
“Il lavoro di testa è fondamentale. Chiaro che tutto riesce in funzione dei risultati, ma noi non avevamo ancora vinto nulla: eppure eravamo convinti di trionfare a Lleida”.
Infine, i festeggiamenti.
“Era il mio sogno, perché da giocatore non avevo mai vinto niente con il Reus. Tutto poi è stato come nei sogni più belli. L’ambiente, con piazza piena e festante davanti all’Adjuntament. Abito vicino al comune e passando dalla piazza guardavo spesso quel balcone. Pensavo che volevo davvero salire lassù. Esserci stato mi ha dato un’emozione unica”.
Un italiano che guida un club catalano al trionfo in Eurolega, chi l’avrebbe mai detto.

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