Losi imbocca la via dell’Oriente

Il 26enne lodigiano, per tre volte negli ultimi quattro anni miglior portiere d'Italia, domani partirà per la Cina per iniziare una difficile carriera lavorativa: "Vorrei abbracciare tutti".

Scritto da Il Cittadino di Lodi - Pubblicato il 02/09/2013 - 15:29 - Ultima modifica

LODI. L’“orgoglio di Lodi” si appresta a diventare “Alberto d’Oriente”. È arrivato il giorno dei saluti, quel giorno che tutti i tifosi lodigiani avrebbero voluto non arrivasse mai, quel giorno che lui invece sognava da tempo e per il quale ha lavorato sodo e fatto anni di sacrifici. Anche se poi le emozioni di un arrivederci così difficile da dire provocano anche in lui, ragazzo timido e introverso, sensazioni forti e toccanti a tal punto da portarlo alle lacrime quando si sfoglia l’album dei ricordi. Domani Alberto Losi, miglior portiere d’Italia per tre degli ultimi quattro anni, parte per la Cina, per Chengdu, capoluogo di dieci milioni di abitanti della regione di Sichuan, dove per i prossimi tre mesi perfezionerà quella lingua così affascinante già studiata durante il suo percorso universitario, prima di tuffarsi concretamente nel mondo del lavoro. Tredici ore di volo, da Malpensa all’aeroporto di Chengdu passando per Abu Dhabi, poi sarà Oriente e potrà comincerà una nuova, importante fase della vita del Losi uomo.
«Sì, ormai ci siamo - sono le parole del 26enne ex portiere dell'Amatori a poche ore dalla partenza -. Per ora sono tranquillo, devo ammettere che è una sensazione un po’ strana, lasciare casa, famiglia e amici per volare dall’altra parte del mondo ad affrontare un percorso che so perfettamente che sarà duro e complicato; ma è quello che volevo e per cui ho lavorato tanto in questi anni. In questi giorni ci sto pensando spesso, ma non sono agitato, anzi credo di aver preso la decisione giusta, coerente con tutti i sacrifici fatti. Per il momento lo scopo di questi primi mesi in Cina è migliorare il più possibile la lingua e per questo sarò all’università di Chengdu per i prossimi tre mesi. Mi hanno consigliato questa città perché molto più “cinese” rispetto a Pechino e più adatta alle mie esigenze. Ho già qualche contatto in Cina con qualche azienda, ma prima voglio perfezionare la lingua. Sarà un periodo non facile per tanti motivi, alla fine del quale tornerò per qualche giorno a casa e, in base a quello che nel frattempo sarà maturato, deciderò se stabilirmi in Cina, andare da un’altra parte o trovarmi un lavoro qui in Italia e magari, perché no, tornare anche a giocare a hockey».
Già, l’hockey, l’Amatori, il “PalaCastellotti” e un mondo tinto di giallorosso che per ventidue anni è stato una fetta importante della sua vita. Una storia splendida quella del Losi sportivo che, nonostante la sua ancor giovane età, racchiude pagine indelebili, momenti unici, racconti che restano scolpiti nel suo personalissimo album dei ricordi. Un album che Alberto sfoglia emozionandosi e divertendosi, a cominciare da quel 22 febbraio 2005, la data del suo debutto in Serie A1: «Bassano - Amatori 4-1, me lo ricordo bene. L’allenatore era Nino Caricato, si giocava di martedì e Passolunghi, che era il titolare, non c’era per motivi di lavoro. Giocai io, ricordo che presi tutti i gol nel primo tempo e nella ripresa mi trovai meglio tra i pali parando anche un rigore a Nicolia che era appena arrivato in Italia. Ricordo l’emozione dell’inizio e i complimenti di Caricato a fine gara. Alla luce di quello che è successo poi, direi che Bassano per me è una partita sempre speciale».
Sempre con il Bassano infatti, sei anni dopo, il 22 novembre 2011, hai conquistato la storica Coppa Italia...
«Una serata indimenticabile, un’emozione indescrivibile. Ricordo tutta la gente che c’era in pista, la gioia immensa di migliaia di persone che da anni aspettavano una festa così. Vincere a Lodi è stata una fortuna che è capitata a pochi e per me è un orgoglio incredibile. Non dimenticherò mai l’abbraccio con mia mamma e poi con mio zio (il presidente Fulvio D’Attanasio, ndr), momenti toccanti che ripagavano di tutti i sacrifici fatti».
Alberto, cominciamo a ricordare alcune figure importanti nella tua carriera, partendo proprio dal presidente...
«Dal punto di vista hockeistico ha dei pro e dei contro, ha fatto cose importanti e commesso errori. Nonostante fosse un mio parente io ho sempre preso posizione, mi sono sempre schierato a seconda di come la pensavo. In generale però penso che, con i suoi pregi e i suoi difetti, abbia fatto tantissimo per l’hockey a Lodi e questo non si dovrebbe dimenticare mai. Ognuno ha la sua opinione, ma se non ci fosse stato mio zio sono convinto che l’hockey a Lodi non avrebbe avuto questa continuità ad alti livelli per così tanti anni e forse per qualche tempo sarebbe anche sparito. In fin dei conti è una persona onesta che ha dato tanto a questo sport in questa città».
Veniamo agli allenatori, cominciando con chi ti ha preso bambino, Vittorio Gasparini.
«Una persona che ha un grande affetto per me, come io per lui. Il mio primissimo maestro, quello che mi ha indirizzato a questo sport quando ero ancora piccolissimo».
E Alessandro Cupisti?
«Monumentale, un pilastro. È quello che mi ha formato e mi ha dato la via, allenandomi per primo quando era portiere dell’Amatori. Vedendo lui ho deciso che avrei fatto il portiere».
Nino Caricato...
«Necessario, perché con la sua grande esperienza mi ha fatto passare da un approccio giovanile a uno più professionistico. Allenatore completo, molto esperto che parla tanto con i giocatori».
Roberto Citterio...
«Indispensabile. Gli devo moltissimo, è stato quello che mi ha lanciato definitivamente in Serie A1, prendendomi dalla B».
Andrea Perin...
«Importante. Mi diede subito grande fiducia, mi fece giocare, anche se poi l’infortunio al ginocchio mi tolse di mezzo».
Roberto Crudeli...
«Più unico che raro. Uno che mi ha dato tantissimo nel bene e nel male. Lavorare con lui è stata un’esperienza di vita che auguro a qualsiasi atleta. Si può discuterne il carattere, ma è una persona sincera e chiara, a volte forse fin troppo. Ancora oggi con lui ho un rapporto fortissimo: ci sentiamo spesso, siamo amici e tutto quello che mi ha detto o mi dice so che lo dice per il mio bene».
Aldo Belli...
«Un simbolo, per me, per Lodi e per tutti i lodigiani. Venendo da un’esperienza con Crudeli, con lui sono passato da un estremo all’altro. Mi ha sempre lasciato grande autonomia e tranquillità, con il suo arrivo ritrovai motivazioni fortissime dopo una stagione negativa».
Pino Marzella...
«Indimenticabile. Con lui ho vinto. Sotto il profilo della mentalità è l’unico, insieme a Mariotti, che ti dà quel qualcosa in più. Ti fa sentire di aver già vinto prima ancora di giocare. Ho avuto la fortuna di essere allenato da lui nel periodo in cui ho giocato il Mondiale in Argentina: quello è stato senza dubbio l’apice della mia carriera».
Pierluigi Bresciani...
«Un grande amico e una grande persona. Uno che dà tanto a questo sport grazie alla pazienza infinita e alla passione incredibile che ha. Pochi stanno al palazzetto intere giornate come fa lui e questo spesso fa la differenza».
Massimo Mariotti...
«Un maestro. Preparato a 360 gradi, uno che pensa moltissimo e non lascia niente al caso. Quando dice o fa qualcosa, sa già quali saranno le conseguenza. Hockeisticamente parlando è il top».
Passiamo ai compagni di squadra: chi è il più forte con cui hai giocato?
«Matias Platero, certamente il più completo. Anche se io ho sempre avuto un debole per Brescia, forse perché da avversario mi ha sempre fatto gol», se la ride.
Il compagno più “esuberante”?
«C’è da dire che già chi gioca a hockey non è troppo a posto. Alla pari dico Karam, Pinto, Crudeli, quando ci si mette e Tataranni, anche se non si direbbe».
Il più meticoloso?
«Senza dubbio Crudeli, un perfezionista in tutti i sensi».
Quello più amico?
«Sarebbero tanti. Anche qui dico a pari merito Platero, Crudeli, Passolunghi e in generale tutti i lodigiani».
Chi invece ha reso meno di quello che avrebbe potuto?
«Penso Rocchetti, che secondo me aveva buone qualità e sarebbe maturato. Ricordo un gol impressionante che fece in caduta al Viareggio. Tecnicamente era molto forte e mi sarebbe piaciuto vederlo in Italia un altro anno».
L’avversario più forte contro cui hai giocato?
«Orlandi, Nicolia e Pedro Gil. Dei fenomeni che non sai mai cosa possono inventarsi».
I tre portieri più forti?
«Trabal su tutti, poi Oviedo e, in prospettiva, Gnata».
Losi e la Nazionale...
«Un rapporto strano. Vestire l’azzurro è stato un onore, giocare un Mondiale un grande orgoglio, ma è come se non mi fossi mai sentito veramente a casa. Mi sarebbe piaciuto dare di più alla Nazionale, ma evidentemente doveva andare così».
Losi e l’Amatori...
«Una famiglia. Ho iniziato a 4 anni e mezzo e per tutto questo tempo il palazzetto è stata una seconda casa. Un qualcosa di speciale che si fa fatica a spiegare, una grande famiglia che comprende tutti gli allenatori, i giocatori, i dirigenti, gli addetti ai lavori e i tifosi. Adesso la squadra è attesa da un anno di transizione che servirà a tutti. Avrà bisogno di tranquillità e pazienza, ma potrà rivelarsi un anno sorprendente. Non posso che augurargli il meglio del meglio».
Siamo proprio ai saluti...
«Per me non è facile, vorrei riunire in piazza tutta la gente e avere delle braccia gigantesche per poterli abbracciare tutti quanti. Zàijiàn a tutti...».
Che in cinese vuol dire Arrivederci... Firmato Alberto Losi. Buona fortuna, “orgoglio di Lodi”.

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