Aldinho spegne 50 candeline

Oggi Aldo Belli festeggia un compleanno speciale, purtroppo stavolta lontano dal “suo” mondo. Dallo scudetto all’Europeo in casa, dalle coppe alle grandi imprese in panchina: «Ho sempre messo il cuore davanti agli interessi, ma ho preso tante pugnalate»

Scritto da Il Cittadino di Lodi - Pubblicato il 17/06/2012 - 19:40 - Ultima modifica

LODI
Buon compleanno “Ufo Robot”. Ma chi è? Ma chi è? Aldo Belli. Oggi lo sportivo lodigiano che con la maglia di un club della città ha vinto più di chiunque altro compie 50 anni. Mezzo secolo di vita passato sui pattini per quella che è la bandiera dell’hockey lodigiano. Dai primi passi al “Revellino” quando indossò i pattini a poco più di tre anni, fino alla scorsa stagione passata sulla panchina dell’Amatori, per arrivare a un presente momentaneamente lontano dalla sua passione di sempre. In mezzo cinquant’anni fatti di tanti trionfi con l’Amatori: la Coppa Italia nel 1978, l’anno dell’esordio in Serie A, lo storico scudetto del 1981, la Coppa Cers nel 1987, la Coppa delle Coppe nel 1994 e anche l’Europeo conquistato con la Nazionale proprio a Lodi nel 1990. Poi, dopo il 1996, anno della scomparsa del glorioso Amatori, la parentesi nello Sporting 93 (poi diventato Amatori Sporting) che con i suoi ultimi gol ha trascinato alla promozione in Serie A1 nella “magica notte” di Gorizia, proprio dove più di vent’anni prima era arrivato lo storico scudetto giallorosso. E infine la carriera da allenatore, con i primi passi in giallorosso, la splendida avventura nell’Ash portata in due anni dalla B alla A1 e alla conquista della Coppa di Lega prima dell'ultima esperienza ancora con l’Amatori, portato fino alla semifinale scudetto. Ma più che per i trionfi, Aldo Belli è ricordato per gli oltre 1300 gol segnati in carriera, molti spettacolari, qualcuno “impossibile”, come era nelle caratteristiche tecniche di un giocatore imprevedibile, per certi versi “spaziale”.
Aldo, che regalo ti piacerebbe ricevere per il tuo 50esimo compleanno?
«Ho già il regalo più bello: la mia famiglia. Penso che sia il miglior regalo che si possa desiderare insieme alla salute».
E dal mondo dell’hockey cosa ti aspetti?
«Niente di particolare, ma mi auguro di ricevere meno pugnalate nella schiena rispetto a quelle che mi hanno dato fino a oggi».
Nemmeno una telefonata, un ricordo di un compagno?
«Ripeto, non mi aspetto niente da nessuno. La cosa più importante è la mia famiglia».
Ripercorrendo i tanti anni sui pattini i tuoi ricordi dove si fermano?
«All’anno dello scudetto, senza dubbio. Non si può dimenticare una soddisfazione così bella. Per un lodigiano vincere il tricolore a casa sua è una cosa meravigliosa. E poi ricordo gli anni trascorsi in pista al “Revellino” quando ero un bambino».
Altri episodi da ricordare?
«Ne ho vissuti tanti, molti bellissimi anche perché li ho vissuti a Lodi, nella mia città. Sono andato via un anno solo per un’esigenza personale, ma penso di essere stato uno di quelli che hanno dato tutto con la maglia della propria città».
Tra i più di 1300 gol quale è stato il più bello?
«Quello con il Benfica segnato in Coppa delle Coppe al “PalaCastellotti” nel 1994. Sono partito da centro pista e ho insaccato con un tiro “sottogamba”, un gesto tecnico che mi distingueva. Quell’anno abbiamo anche vinto la coppa in finale con il Voltregà».
Qualcosa che vorresti non si ripetesse?
«L’annata del 1996, quando è sparito l’Amatori Hockey Lodi. E poi provo un po’ di nostalgia per la pista del “Revellino” che forse poteva essere gestita in altro modo. Quel palazzetto è stato la culla di tutti gli hockeisti lodigiani da Baffelli a Nava, a Piccolini e molti altri».
Il più grande rimpianto sportivo?
«Non essere andato al Roller Monza quando, in quegli anni, avrei potuto vincere tutto. Io sono di Lodi e volevo giocare qui. Ho sempre messo il cuore davanti agli interessi».
In carriera pensi di aver vinto tutto, o poteva andare meglio?
«È più quello che ho perso, rispetto ai tanti successi. Sarebbe bastato andare via da Lodi per vincere molto di più».
Il tuo rapporto con la Nazionale?
«Non mi è mai piaciuto andarci. Non mi sono mai trovato bene e se potevo la rifiutavo».
Gli Europei vinti a Lodi?
«Beh, un bel ricordo perché vinti nella mia città. In quell’anno ho rischiato anche di smettere di giocare per i problemi di cuore».
Come è cambiato l’hockey in questi anni?
«A me piaceva più quello di prima, quando a volte in pista c’erano anche delle battaglie. Oggi è ancora uno sport di contatto, ma non più come una volta. Con le regole di oggi bisogna stare molto attenti. E poi è diventato meno tecnico, ma più potente e veloce».
Oggi c’e un nuovo Aldo Belli?
«No. Giocatori con le mie caratteristiche in giro non ce ne sono. Non ho visto più nessuno giocare con le spalle alla porta e mettere la pallina in rete in giravolta. Sono cambiate le caratteristiche dei giocatori».
Perché a Lodi non ci sono più campioni?
«È meglio non dirlo, ma in realtà in tutta Italia non ci sono più grandi talenti. Non a caso Crudeli, Mariotti, Bertolucci e Rigo sono ancora i migliori. Questo vuol dire che non c’è ricambio e che le nuove leve non sono all’altezza dei campioni del passato».
E l’ambiente dell’hockey come è cambiato?«
A me sembra che oggi, in questo mondo, ci sia poca riconoscenza. Contano solo gli interessi personali».
Tutti i campioni che hanno giocato in Eurolega hanno detto che al “PalaCastellotti” si vive in un ambiente particolare: cosa significa giocare a Lodi?
«È come “San Siro” quando gioca il Milan. C’è un ambiente particolare perché l’hockey a Lodi è lo sport per eccellenza».
E il pubblico lodigiano com’è?
«È cambiato rispetto a quando giocavo io. Comunque vale sempre la tesi che se vinci sei un idolo e se perdi sei criticato. A volte si parla un po’ troppo, ma il calore che c’è in certi momenti a Lodi non si vive da altre parti».
Tra i compagni che hai avuto qual è il tuo quintetto ideale?
«Checco Fontana in porta, Roberto Crudeli e Giancarlo Fantozzi in difesa e Giulio Fona al mio fianco in attacco. Giulio è stato il mio compagno ideale, quello che mi ha insegnato di più. Lui mi voleva titolare in tutte le partite anche quando ero giovanissimo. Mi ricordo che l’anno dello scudetto non avevo ancora la patente e andavo al “Revellino” in motorino. E pronto a entrare Gonella, un jolly universale in grado di ricoprire tutti i ruoli: Osvaldo è l’unico amico vero che ho avuto nel mondo dell’hockey. L’allenatore ideale è stato Giovanni Innocenti, soprattutto per le sue qualità umane».
E José Livramento che giocava nell’Amatori nell’anno del tuo esordio in prima squadra?
«Me lo ricordo, ma non ho giocato molto con lui, ero troppo giovane. È stato in ogni caso il giocatore più forte di tutti i tempi. Guardandolo ho imparato molto».
E guardando anche gli avversari, qual è il quintetto più forte di sempre?
«Quello del Novara di Amato, Bernardini e dei fratelli Mariotti. Amato nei suoi anni migliori era devastante, Massimo Mariotti riusciva a far giocare bene chiunque».
La squadra che vorresti allenare oggi?
«Quella che ho lasciato l’anno scorso. Con quei ragazzi mi sarebbe piaciuto vincere qualcosa».
Nostalgia?
«Di alcune persone sì. Soprattutto di alcuni ragazzi che mi hanno dato molto quando li ho allenati, ma non di tutti. Alcune persone, che conosco anche da molto tempo, non mi mancano per niente».
Perché oggi sei lontano dall’hockey?
«Forse perché ho sempre detto quello che pensavo, e a volte può essere scomodo».
E il sabato sera cosa fai?
«Vado a divertirmi con mia moglie e la mia famiglia».Sarà così per sempre?
«Mai dire mai. Se qualcuno mi cercherà... Penso però che a Lodi non ci sarà molto spazio. Qui non si valorizza quello che si ha, a volte si preferisce chi arriva da fuori. Anche in passato è stato così».
Farai l’allenatore lontano da Lodi?
«Ho avuto questa possibilità a dicembre, ma non ho potuto sfruttarla a causa del mio lavoro che mi impegna parecchio».
Cosa fa oggi Aldo Belli?
«Lavoro da mattina a sera. Faccio il giardiniere: è la mia passione e anche il mio lavoro. E poi seguo l’hockey in tv».
Da spettatore come giudichi la stagione di quest’anno?
«Il vero exploit lo ha fatto Crudeli con il Forte dei Marmi. Con una squadra composta da giovani e da Videla ha fatto un campionato straordinario e ha fatto soffrire il Viareggio nella semifinale play off. Crudeli è un immortale, l’unico che non sfigura mai quando gioca. A mio avviso, comunque, la squadra con il gruppo più forte era l’Amatori».
Chi vince lo scudetto?
«Sarei contento se vincesse il Viareggio, soprattutto per Alessandro Bertolucci che ricordo sempre volentieri. Ma il Valdagno è più attrezzato e penso che per come stanno andando le cose sia a un passo dal tricolore».
Chi è il giocatore più forte oggi?
«Senza dubbio Carlos Nicolia: l’unico che in Italia può vincere le partite da solo».
Qualcuno ti vorrebbe rivedere al “PalaCastellotti”: quando tornerai?
«Al palazzetto soffro troppo, come quando giocavo. Soffro anche a vedere i ragazzi che hanno lavorato con me negli anni scorsi. Preferisco vedere le partite in tv, non ne ho persa una».
Perché quel soprannome “Ufo Robot”?
«Perché in pista facevo le giravolte, un gesto tecnico che mi ha contraddistinto e che in pochi riescono a fare oggi».
In realtà quel soprannome, che rievoca un “eroe spaziale” di una serie di cartoni animati degli anni ’70, nasce da un coro dei tifosi della “Legione Novara”, poi ripreso dai lodigiani e intonato al “Revellino” per la prima volta nel 1983, l’anno in cui vestivi la maglia azzurra del Novara…
«Ah si è vero. Quel coro però è stato la colonna sonora di tutta la mia carriera, specialmente nei momenti più belli».
Ma allora il mondo dell’hockey ha lasciato anche qualche regalo ad Aldo Belli?
«Sì, in fondo mi ha regalato anche tante belle soddisfazioni, nonostante tutto».
“Aldo regalaci un sogno” c’era scritto in nero su uno striscione giallorosso appeso nell’angolo del “Revellino” vicino all’ingresso degli spogliatoi: e lui di sogni, ai tifosi lodigiani, ne ha regalati tanti.
Grazie Aldo. Mille di questi giorni, come più di mille sono stati i tuoi gol con la maglia giallorossa!

Mario Raimondi

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