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L'Italia dopo Oliveira: per restare al vertice serve un cambio di passo


Il campionato europeo di Oliveira de Azemeis conferma alcune tendenze e fornisce indicazioni interessanti sullo sviluppo dell'hockey su pista continentale, compreso quello di casa nostra. Come l'hockey italiano è tornato grande e cosa deve fare per restarlo.

Scritto da Redazione - Pubblicato il 20/07/2016 - 11:18 - Ultima modifica 14/08/2016 - 14:16

Massimo Mariotti.

Foto Marzia Cattini

Spenti i riflettori sul campionato europeo di Oliveira de Azemeis, l'hockey su pista italiano va in vacanza per qualche settimana. A parte qualche raduno delle nazionali under 17 e femminile, le prossime quattro settimane sono le uniche, vere, settimane di "fermo" di quasi tutta l'attività. Un meritato riposo per chi è stato protagonista dell'ultimo campionato ed ha vestito la maglia della nazionale e che subito dopo ferragosto inizierà a sudare per un'altra lunga stagione che porterà alla prima edizione dei World Roller Games.
Prima di mettere il cervello in modalità "hockey off", vale la pena cercare di dare una lettura un po' più approfondita di quanto sancito dalla pista di Oliveira de Azemeis, partendo ovviamente dall'Italia.
La medaglia d'argento di Oliveira rappresenta un passo avanti importante per l'hockey italiano verso un rientro a pieno titolo tra le grandi dell'hockey. Mariotti, che ha preso in mano la nazionale dopo il 7° posto ai mondiali 2009 di Vigo e il 5° posto agli europei 2010 idi Wuppertal, ha impostato un percorso a medio termine che ha indubbiamente dato i suoi frutti. Ha sfruttato l'ultimo treno internazionale dei campioni della generazione immediatamente successiva alla sua per affrontare il mondiale di San Juan 2011 (fuori ai quarti 5-2 con la Spagna dei record) e far ritrovare all'hockey italiano un poco dell'orgoglio perduto. Ha puntato su un primo gruppo di giovani (e sui naturalizzati argentini) per tornare sul podio europeo a Paredes nel 2012. Ha trionfato agli europei di Alcobendas (battendo il Portogallo e pareggiando con la Spagna) e ripetuto risultati straordinari in quello appena chiuso a Oliveira (fermando ancora una volta la Spagna). A "macchiare" la carriera alla guida della nazionale di mister hockey ci sono soltanto i due quarti di finale persi ai mondiali: nel 2013 a Luanda contro il Cile (2-1) e nel 2015 a La Roche Sur Yon con la Germania (7-6).
Il percorso intrapreso da Mariotti non è stato scevro da critiche. All'inizio dell'avventura azzurra è stato accusato di non avere fiducia nei giovani, di non conoscerli a sufficienza per non averli mai allenati, di essere troppo legato a un hockey fatto di ricordi che non c'è più. Critiche in parte fondate, alle quali Mariotti ha però risposto con i fatti e con una dedizione quasi maniacale alla causa azzurra. Prima di tutto allestendo uno staff azzurro omogeneo e coeso che rende il passaggio dalle nazionali giovanili (tornate a loro volta ad essere vincenti e competitive) a quelle senior più fluido, quasi naturale. Il lavoro portato avanti assieme a Tommaso Colamaria e a Nino Caricato (che sono il cuore pulsante dello staff tecnico) si è via via strutturato; dai tradizionali raduni pre-evento a uno screening permanente su tutto il territorio nazionale che ha un doppio vantaggio: consente un monitoraggio in "tempo reale" di quello che succede nelle diverse realtà territoriali e favorisce un dialogo tra lo staff delle squadre nazionali e i tecnici che quotidianamente lavorano nei club (dialogo spesso difficile, ma che i risultati raccolti in pista non potranno che facilitare).
Il successo della "road map" di Massimo Mariotti è stato favorito da due fattori. Il primo: la ritrovata attenzione dei club (o almeno di alcuni) per un lavoro di formazione dei bambini e dei ragazzi a livello giovanile. Una attenzione frutto di una più curata qualificazione dei tecnici da parte della Siri diretta da Massari, ma anche frutto della crisi economica che ha ridotto i denari a disposizione dei presidenti per comprarsi questo o quel fuoriclasse. Il secondo fattore è l'appoggio e il supporto pressochè incondizionati della Federazione al progetto e al lavoro di Mariotti, necessario per andare oltre le critiche e per superare i momenti più difficili.
La fase più difficile, però, viene adesso. Superati i momenti più bui, le aspettative sulle nazionali azzurre sono sempre più elevate. La maglia azzurra, fatte salve rare eccezioni, è tornata ad essere un traguardo ambito a tutti i livelli e questo genera una positiva tensione al miglioramento. Le nostre nazionali, però, hanno adesso bisogno di uno scatto in avanti, di essere costantemente alimentate dai club con atleti di valore, di essere l'espressione massima di un movimento che in esse si riconosce e si specchia. L'impressione è quella di avere mosso i primi passi sulla strada giusta, ma di avere ancora molto da camminare prima di poter dire di aver consolidato un sistema di formazione e selezione efficiente. Occorre sfruttare questo "magic moment" per saldare il lavoro delle squadre nazionali a quello dei tecnici regionali e dei club, valorizzando al massimo le competenze di ciascuno. Non è facile, ma i successi azzurri del futuro passano da qui.

Allargando l'orizzonte, l'europeo di Oliveira de Azemeis ha incoronato il Portogallo come trionfatore della stagione. Non solo per la supremazia dimostrata in pista che soltanto l'Italia del primo tempo della finale è riuscita a contrastare; quanto per il complesso di risultati che l'hockey lusitano ha raccolto nell'ultimo biennio. In questo momento, il Portogallo è campione d'Europa in tutte le categorie maschili (under 17, under 20 e senior), campione del mondo U20, ha vinto la coppa Latina U23 ed entrambe le coppe europee con suoi club (Barcelos in Cers e Benfica in Eurolega). Manca soltanto il titolo mondiale, prossimo obiettivo di Senica e dei suoi. Se aggiungiamo che il prossimo campionato portoghese sarà il più bello del mondo, con Benfica, Sporting, Porto e Oliveirense che hanno allestito squadre da sogno, non si fatica a capire perchè il successo all'Europeo di Oliveira (arrivato in scia dell'ancora caldissimo e clamoroso trionfo calcistico) abbia portato la nazionale lusitana di fronte al presidente della Republica portoghese che ha insignito tutti del titolo di "Commendatore".
A uscire con le ossa rotte è ancora una volta la Spagna di Quim Pauls, al terzo appuntamento di fila senza successi dopo una decade di soli trionfi. La generazione di fenomeni che ha vinto tutto dal 2003 al 2013 non ha ancora eredi, ma guai a dare la Spagna per spacciata. A questo europeo ha pagato le assenze per infortunio di Gual e Gil che, con ogni probabilità, chiuderanno la loro carriera con la nazionale (al pari di Bargallò) con il mondiale del prossimo anno in Cina. Paradossalmente, la Spagna (come è stato per l'Italia) potrebbe trarre vantaggio dalla crisi economica che attraversa molti club iberici: i campioni se ne vanno (quasi tutto in Portogallo) e si aprono spazi in OL Liga per giovani di grandissimo interesse che abbiamo già visto protagonisti nelle nazionali giovanili.
Oliveira de Azemeis è stata anche la tomba dei sogni di gloria della Francia che, ancora una volta, non è riuscita ad entrare nel giro che conta. Vero che la squadra di Savreux è giovanissima e ha ampi margini di miglioramento (tra l'altro un paio di elementi fondamentali dei "bleu" andranno a farsi le ossa in Spagna il prossimo anno), ma l'impressione è che manchi qualcosa anche sul piano tattico e mentale per poter competere ad altissimo livello.
Fortemente ridimensionata anche la Germania che non è stata in grado di ripetere le imprese degli ultimi anni quando aveva dato filo da torcere a tutti. La squadra di Berenbeck, con un Lukas Kaschau dalle polveli bagnate, è affondata pesantemente contro Italia e Portogallo e ha chiudo con un deludentissimo sesto posto, molto al di sotto delle attese.

Parole chiave: Nazionale, Nazionale Senior, Europeo,
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