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L'hockey italiano perde un suo profeta, Fulvio Aloisi si è spento a 71 anni


Ieri mattina all'alba, l'avventura terrena di uno degli uomini che hanno fatto la storia dell'hockey follonichese, toscano e italiano, è terminata. Nelle parole di Andrea Cordovani, il ricordo di quello che è stato Fulvio Aloisi per il nostro hockey.

Scritto da Andrea Cordovani - Pubblicato il 20/10/2014 - 09:24 - Ultima modifica 25/10/2014 - 10:23

Fulvio Aloisi con Andrea Cordovani.

Ha giocato a viso aperto senza paura dell’avversario anche la sua ultima partita Fulvio Aloisi. Con coraggio e determinazione. Morto ma non vinto. Se n’è andato in silenzio alle 6.45 di domenica 19 ottobre. S’è spento in un letto dell’ospedale di Grosseto. Un male implacabile e incurabile se l’è portato via a 71 anni.
La sua è stata una vita interamente dedicata all’hockey. Non ha passato neanche un giorno senza pensare a stecche e rotelle, a spiegare tattiche, raccontare i pregi e i difetti di questo o quel giocatore. Lo chiamavano il Biondo. Era nato a Roma il 5 aprile del 1943, ma aveva vissuto sempre a Follonica. La sua città. Quella che sentiva sua anche quando giocava nelle squadre avversarie. È stato il primo allenatore italiano a giocare col marcamento a uomo. Un autentico rivoluzionario del rettangolo di gioco dai primi anni settanta. Era stato portiere in Serie A. Istrionico e a volte anche sopra dalle righe. Aveva giocato con lo Skating Club Follonica, la Pro Follonica e il Cp Grosseto. Epoche da pionieri con partite che andavano in scena in estate all’ombra delle stelle. Poesia ma anche sonore bastonate. La sua carriera a difesa della gabbia s’era interrotta nel 1970. Serie A. Alla quarta di campionato sulla pista di Lodi, il Biondo aveva esagerato. E s’era beccato una squalifica a vita. Radiato per aver tentato di far capire un po’ troppo animatamente le proprie ragioni a un arbitro.
«Non so che cosa m’è preso quella volta – raccontava – Ero parecchio incazzato». Terminata l’avventura da giocatore s’era messo a studiare. Tattiche e giocatori. Il 7 maggio 1972 Fulvione diventava allenatore del Follonica. E la sua vita diventava frenetica. Sigarette e allenamenti. Per alcune stagioni, adottando il cosiddetto modulo alla portoghese, Aloisi trascinava la squadra della sua città in posizioni di classifica mai raggiunte in precedenza.
Far crescere i giovani è stato il suo credo fin dal primo momento. Carattere deciso e fumantino il Biondo era uno che difficilmente retrocedeva dai suoi pensieri. Amico se gli eri amico. Nemico se cercavi di farlo fesso. La sua vita sulla panchina del Follonica è stata sempre molto agitata. E fu così che dopo la metà degli Anni Settanta, Fulvio decise di cambiare aria. Dando fondo alla sua mitica Alfasud, se ne andò ad allenare il Cgc Viareggio, i rivalissimi contro i quali i bastoni roteavano come spade. Altre epoche e anche una generazione di ottimi giocatori quella viareggina che lui plasmò a sua immagine e somiglianza. Da come la presero bene i suoi concittadini l’attesero alla Pista dei Pini e davanti alla sconfitta del Viareggio gli improvvisarono una sorta di funerale. Suona sinistra questa immagine adesso ma è la più fedele per riassumere il rapporto di conflittualità con un uomo capace di stupire e stordirti con le sue parole. In pista e fuori dalla pista. Usava termini tutti suoi. «Taboga», se dovevi chiudere il match. «Caracca» quando serviva il tiro potente da fuori. Cresceva la considerazione nei confronti del Biondo in quegli anni di hockey duri e puri. E fioriva anche il luogo comune che Aloisi sentisse un po’ troppo quei match preparati con maniacale scrupolo per tutta la settimana. Nel recinto atleti sembrava un leone e forse anche per questo indossava una mitica sahariana, cimelio portafortuna come una mitica tuta rosa che indossava alla bisogna in allenamento.
Quando stamattina un sms di suo figlio Alberto annunciava la sua scomparsa davanti agli occhi è passato la storia di un hockey che sembrava fatto apposta per un personaggio come lui. Era un pozzo di aneddotti nel quale intere generazioni si sono abbeverati. Un uomo con le sue idee Fulvio Aloisi. Personalità forte la sua: se era convinto di essere nel giusto non lo smuovevano neanche le cannonate. Ha insegnato hockey ovunque nella Toscana delle rotelle. Trascinò il Castiglione in alto: ebbe un rapporto tutto particolare con Alessandro Cupisti e un’amicizia molto intima con Paolo Maggi, il fromboliere del Viareggio che lanciò la società del presidente Gabellieri nelle zone davvero nobili in un momento in cui in Italia era in azione una straordinaria foritura di fenomeni.
Follonica è stata sempre la sua casa. Anche quando allenava a Prato e Castiglione. E proprio sul derby delle Collacchie Fulvione ha scritto pagine di emozioni indelebili da una parte e l’altra della barricata. Quando gli ricordavi certe sfide raccontava tutto con dovizia di particolari. Continuava a leggerti la partita anche ad anni e anni di distanza. Allenatore dell’Italia femminile, docente alla scuola allenatori Fulvio si è seduto in panchina per l’ultima volta con il Grosseto ormai alcune stagioni orsono.
Se ne va un personaggio che ha combattuto con grande tenacia le crudeli vicissitudini della vita. Lascia nel dolore la sua famiglia, gente che ha dedicato gran parte della propria vita all’hockey, e tutti quelli che l’hanno profondamente conosciuto.
«Taboga», Fulvio. Grazie per le emozioni che ci hai fatto vivere.

Parole chiave: Aloisi,
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